venerdì 23 febbraio 2024

I nostri "primi 50 anni"

I
l nostro Gruppo compie 50 anni. Anzi, qualcuno in più. Ecco infatti cosa scrissi in un articolo pubblicato sul Giornale Comunale di Ceriano Laghetto nell’aprile 2019:

«Quello che può essere considerato il nocciolo iniziale del GMS nasce nel 1972, quando un piccolo gruppo di amici decide di associarsi, prendendo sede a Saronno e iscrizione all’Aeroclub d’Italia. Racconta a proposito Elio Corongiu, classe 1939, co-fondatore e attuale presidente: “Tra questi ci sono amici ora scomparsi, come i fratelli Aldo e Bruno Viotti, e Cesare Verga”. Un manipolo di pionieri dunque, a mezzo tra “artigiani della volatilità” e novelli Barone Rosso, alle prese con le sole scatole di montaggio allora esistenti».

I nostri “primi 50 anni” sono stati caratterizzati da tanto entusiasmo ma anche, come una vera e propria “relazione” anche da momenti non facili. Ma l’importante è sempre guardare in avanti, non dimenticando tuttavia il passato. Anzi. Questo passato è da rispettare e festeggiare, perché se oggi siamo ancora qui a far volare i nostri modelli, è perché il Gruppo ha retto anche gli “inverni della vita”. Inverni che purtroppo hanno visto scomparire pedine fondamentali, tra cui proprio il compianto Elio Corongiu nel 2022.

Da presidente che sente tutto l’onore più che l’ònere di presiedere questo Gruppo, non posso che aderire e condividere a pieno ciò che scrisse il sociologo Francesco Alberoni vent’anni fa: “Il leader  è, prima di tutto, il custode della meta, colui che ricorda e indica a tutti dove si deve andare, e controllare che la rotta venga tenuta” (da L’arte del comando, 2002). Ecco. Il mio obiettivo e proprio “custodire la meta”, che poi non è altro che alimentare continuamente le energie di questo Gruppo. Per farlo guardo al passato e al futuro: al primo dico “grazie”; al secondo dico: “arriviamo!”.

sabato 13 gennaio 2024

Consigli utili per i neofiti dell'aeromodellismo

Ho realizzato questa brochure introduttiva al mondo dell’aeromodellismo, pensata e scritta per offrire al neofita una infarinatura generale prima di entrare in un negozio di modellismo e varcare la soglia di un campo volo. Dunque non è: un manuale tecnico in senso stretto; un manuale per imparare a volare. 

Può essere molto utile soprattutto per chi abbia deciso di avvicinarsi a quest’hobby, poiché dà delle indicazioni di massima che sono frutto, per me, di dieci anni di aeromodellismo. 

Il linguaggio usato è volutamente semplice e alla portata di tutti. Molto del materiale qui raccolto è stato (o sarà) pubblicato dall’autore sul Giornale comunale di Ceriano Laghetto.

Alla fine della brochure ho poi messo un vocabolario per la sopravvivenza: ovvero un vocabolario di parole che molto di frequente vengono usate in campo aeromodellistico e in un campo volo. Conoscerle significa già partire bene  e soprattutto comprendere di cosa stiamo parlando.

Dunque buona fortuna e buoni voli!


La brochure (18 pp, Pdf) è scaricabile gratuitamente qui

venerdì 27 ottobre 2023

Impariamo dal branco

Il termine branco, preso a prestito dall’etologia, soprattutto negli ultimi anni ha assunto una connotazione negativa in contesti al di fuori di essa. Lo si usa infatti quasi sempre nei mass media per indicare un gruppo di delinquenti che ad esempio stupra una donna o commette crimini efferati. Eppure, preso nel suo significato originario, è invece profondamente significativo ed evocativo. Nonché bello. Nel mondo dei lupi, ad esempio, indica una unità familiare allargata, ovvero un gruppo di canidi selvatici formato dalla coppia genitoriale (padre e madre, detta coppia alfa), i loro cuccioli più altri adulti nati da accoppiamenti precedenti.
Preso come concetto, poi, il termine branco può adattarsi perfettamente ad un gruppo sociale quale può essere un’associazione, un club, un circolo. 

Perché?

In primo luogo perché i componenti del gruppo sociale riconoscono di farne parte: sono infatti soci, a cui spettano dei diritti in cambio di un obolo economico generalmente modesto; in quanto tali, poi, hanno diritto di accesso a spazi riservati (paragonabili al territorio ad esempio dei lupi), a servizi dedicati ecc.; ma anche sono “uniformati” da segnali visivi e materiali: la tessera associativa, la spilletta, l’adesivo, la maglietta, il cappellino. Insomma, tutto ciò che può mostrare all’esterno che si fa parte di un gruppo ristretto, che si autoriconosce e che difende proprio queste peculiarità.

Ecco allora che proprio al gruppo sociale si presta bene il concetto di branco, nel senso più positivo (ed esclusivo) del termine. Ma c’è molto di più. Anzi, ci può essere molto di più. Chi conosce l’etologia del lupo, sa bene ad esempio quanto il branco sia stupendamente funzionale: ognuno ha un compito preciso, ma all’occorrenza tutti i membri collaborano per uno scopo; all’interno del branco, poi, non c’è solo rispetto, ma anche affetto; i membri che per qualche motivo si allontanano da esso, infine, spesso trovano il modo di restare in contatto con gli altri, ad esempio usando il celeberrimo ululato. Quest’ultimo, al di là di tutte le connotazioni romantiche che gli sono state date, serve infatti principalmente a due scopi: restare in contatto col gruppo e segnalare la propria presenza a gruppi invece estranei e che quindi è bene che non invadano il territorio altrui.

In un club, circolo, associazione, applicare il concetto di branco può essere allora auspicabile e meraviglioso.

L’uso della tecnologia moderna, poi, può facilitare la cosa. Tramite WhatsApp, ad esempio, ogni membro può in un attimo far sentire la propria presenza anche se è dall’altro capo del mondo magari per lavoro o diletto. Tramite Facebook o altre piattaforme simili, il gruppo può essere costantemente informato, creando poi un luogo virtuale  dove scambiarsi opinioni, informazioni ecc. E guarda caso anche questo spazio virtuale segue le logiche del territorio: ci si entra solo col permesso dei suoi custodi (amministratori della pagina) e talvolta se ne viene espulsi se si adotta un comportamento inadatto al gruppo stesso.

Branco: una unità familiare
allargata
Ritengo dunque che l’obiettivo di coloro che guidano un gruppo sociale (presidenti, consiglieri ecc.) sia quello non solo di gestire materialmente il gruppo stesso, ma di applicare i principi del branco. Infatti è fisiologico che ogni gruppo sociale conosca crisi profonde e momenti invece di successo. Nelle prime si verifica magari un allontanamento volontario dei soci, tale da mettere a rischio l’esistenza del gruppo stesso; nei momenti di successo, invece il numero dei partecipanti aumenta, c’è armonia e tutto sembra andare per il meglio. Se si applica, si coltiva, si promuove il concetto di branco, anche le crisi peggiori possono essere affrontate con più possibilità di successo. Perché ogni membro non si sentirà solo socio ma anche componente di una unità familiare allargata, e come tale il legame emotivo molte volte farà da collante là dove ragioni pratiche o esclusivamente personali lo hanno invece allontanato.

A chi pensasse che tutto questo discorso possa essere riassunto nel semplice concetto di amicizia, rispondo che non è così. Certo, tra i membri del branco può nascere amicizia, ma questa presuppone anche frequentazioni che fuoriescono dal territorio dove opera il gruppo. In buona sostanza, con un amico vado anche a bere una birra, al cinema, vado a casa sua o in vacanza. L’amicizia insomma fuoriesce dall’ambito di operatività del gruppo, e coinvolge altri importanti aspetti della vita: un amico allora non mi limito a frequentarlo ad esempio solo in un campo volo o in un circolo di scacchi. Senza con questo nulla togliere al rapporto amichevole che si può instaurare tra soci, è importante tuttavia sottolineare un concetto: l’amicizia tende a proteggere e conservare il rapporto tra chi è legato da questo sentimento; nel branco, invece, questo senso di protezione viene (o dovrebbe essere) esteso all’intero gruppo.

Il branco è insomma diverso. Ciò che lo lega è un rapporto di appartenenza, di reciproco riconoscimento, di esclusività da proteggere e coltivare. E se questo succede, difficilmente il legame tra chi ne fa parte potrà essere interrotto del tutto. Ci si potrà allontanare per mille ragioni, si potrà litigare, ma alla fine quel sottile filo che lega il gruppo può anche prevalere:  salvando così  il gruppo stesso, inteso come branco e meravigliosa unità di eletti.

lunedì 2 ottobre 2023

I miei primi 10 anni... di aeromodellismo

Era il giugno del 2013 quando per la prima volta raggiunsi un campo volo; da pilota, non da semplice spettatore. ll mio modello U Can Fly della Hype riluccicava al sole come il mio sorriso. Intonso, perfetto, l’unico pezzo rimasto in tutta la Lombardia e Piemonte (sarebbe andato fuori produzione di lì a poco), tanto che mi feci 150 chilometri per andarlo a prendere di persona a Montalto Dora (TO). Poi lanciai un appello in Rete, e il responsabile gentilissimo di un campo dalle parti di Monza rispose. O, meglio, raccolse quel pulcino impaurito per fargli fare i primissimi voli da aquilotto. E per dare finalmente vita al mio modello che subito chiamai Cuča (si pronuncia cucia, ma suona anche come "cuccia") che in croato significa casa. L’auspicio era chiaro: era una scaramanzia affinché il modello tornasse sempre a casa. Magari intatto.

La foto con l’aereo rosso risale proprio a quel battesimo dell’aria. Rigido come una pertica, con il cuore a mille, feci volare la mia “bestiola” senza danni. Roba da stappare una bottiglia a sera e cucinare i miei piatti preferiti.

Da allora non sono solo passati dieci anni, ma se vogliamo un’intera era. Molte cose sono cambiate, ma non quella sottile ansia che ad ogni volo (ormai saranno qualche centinaio) resta in tutto il corpo, salvo poi stemperarsi una volta che i ruotini fermano la loro corsa sull’erba. Ormai l’ho accettata l’ho accolta come parte di me. Era l’unico modo per non esserne soggiogato.

Lasciato quasi subito quel campo ospite a cui va ancora oggi tutto il mio riconoscimento (era troppo distante per me), trovai quasi subito l’attuale campo di Ceriano Laghetto, di cui ora sono orgoglioso presidente. Non tanto per meriti aviatori (ora so pilotare, sì, ma non sono certo un Francesco Baracca della situazione), quanto per quel vero e proprio amore per il campo, i suoi soci e l’ambiente che ho trovato fin dal primo giorno.

Sì... ne è passato di tempo. Ho volato, sono caduto, ho aggiustato, sono caduto in crisi, mi sono risollevato, ho gioito, ho riso, ho pianto. Ho fatto tutto. All’aperto, con temperature dai + 4° ai + 35°, e anche dentro di me.

Nel 2015, quindi solo due anni dopo, arrivò Darko (nella seconda foto, risalente a pochi mesi fa): un aeromodello nato per l’acrobazia, ma riconvertito nella guida ad un più tranquillo modello da volo volato come si dice; in sostanza tranquillo. Con Darko all’inizio non è stato facile, tanto che per forse tre mesi (dopo l’ennesima caduta) lo parcheggiai in garage, per tornare al più placido e rassicurante Cuča. Poi l‘orgoglio ha avuto la meglio sulla paura. Così l’ho ripreso, e nonostante qualche incidente, ora sono quasi 8 anni che è il mio fidato compagno di volo. Le sue ammaccature vanno di pari passo con le mie rughe; le sue crepe sono le mie. La colla... no... quella è solo sua!

Se da ragazzo mi avessero detto che alla veneranda età di 48 anni avrei intrapreso un percorso aeromodellistico, non ci avrei creduto. Eppure... sono ancora qui, e se Dio vuole, mi piacerebbe festeggiare anche il primo ventennio, trentennio e così via.

Dieci anni, vissuti intensamente; passati a scrutare il meteo, a studiare le possibilità di pomeriggi liberi, a prepararsi mentalmente e in concreto per andare al campo, così come ormai dico con estrema familiarità. Dieci anni che hanno dato vita a 2 libri (Voglia di Volo e Fame d’aria, rispettivamente: Amazon 2018, e Amazon 2021), di cui il primo tradotto e venduto all’estero anche in inglese (Let me fly, Amazon 2020).

Dieci anni di passione, condivisione, amicizia, solidarietà, con luci e ombre, ma pur sempre vissuti con adrenalina e serotonina in corpo.

Non dimenticherò mai chi, in dieci anni, a vario titolo mi è venuto incontro, mi ha aiutato da tecnico e da amico, da maestro o da collega. Così come non dimenticherò mai (né intendo farlo) quella meravigliosa sensazione di disegnare nel cielo col tuo modello, dimenticando tutto per i 5 minuti della batteria. Cinque minuti capaci spesso di riempirti il cuore. E in alcuni giorni anche l’anima.

giovedì 13 luglio 2023

Verrà il tempo...

Verrà il tempo in cui anche noi appenderemo i nostri modelli al chiodo. Aerei ubriachi di vento e di sole, corrosi dal tempo e feriti dalle cadute, con ruote consumate a correre sull’erba, corrosi di luce e incrostati di sogni. Perché saremo forse troppo stanchi per sopportare ancora il morso del caldo e quello del gelo, o forse perché le nostre mani ed i nostri occhi diverranno insicuri. Incapaci ormai di gestire il volo gagliardo delle nostre bestiole volanti, e le insidie di un’aria non più così familiare.

Sì, verrà quel tempo dove il silenzio piano piano si poserà sul campo. Ammainata la manica a vento, il cielo tornerà ad essere spazio unico del vento e degli uccelli. E noi, Icari stanchi, ci limiteremo a calpestare la terra, e a guardare in alto con il magone nel cuore. Perché sì, verrà quel tempo. Prima o dopo, per tutti. Come la morte, o le lacrime. E mentre - ormai esausti - i nostri modelli faranno ormai solo da icona dei tempi passati, testimonianza della nostra passione e oggetto delle nostre sfide con la paura e l’ardire, la natura piano piano si riprenderà ciò che è sempre stato suo. L’erba, le piante e gli animali torneranno a vivere quella striscia di sogni, sudore, parole e risate che oggi chiamiamo “campo”, e che un domani conserverà solo i nostri fantasmi: i milioni di parole consumate; i chilometri fatti correndo sui ruotini; le migliaia di figure che ancora segnano lo spazio tra le nuvole. Mentre altri uomini e donne del bosco, solcheranno i nostri passi magari tenendo per mano bambini, cani oppure solo ricordi o pensieri.

Verrà quel tempo, in cui poco importerà che ci sia sole o vento, perché  come barche in darsena, ci lasceremo cullare dall’onda dei ricordi, e saremo pronti a raccontare alla gente comune leggende non di mare, ma d’aria e di come in quel bosco abbiamo consumato pezzi di vita, alimentato speranze, affilato sfide con noi stessi e le leggi della natura.

Verrà quel tempo, in cui ciò che rimarrà di noi saranno i nostri modelli: icone polverose che nuove mani, ora, con imperizia ma rispetto cercheranno di collocare in un nuovo spazio-tempo, dove noi non saremo più i protagonisti. E in quel tempo, ci ritroveremo in altri cieli a giocare ancora, assieme a chi - con dolore - ci ha preceduto, ed ora sorride perché non c’è più caldo, freddo, vento o paura. C’è solo quella magia dell’aria che si chiama volo.

lunedì 5 giugno 2023

Una passione educativa

Articolo pubblicato sul giornale comunale di Ceriano Laghetto (Aprile 2023) 


All’aeromodellismo ci si può arrivare per vie diverse: per tradizione familiare (es. papà con questo hobby), per passione giovanile legata ai giochi di movimento e tecnologici, oppure (com’è capitato a chi scrive), anche in età non più tenera, frutto di una più generale passione per aerei ed elicotteri. Quale che ne sia l’origine, è importante evidenziare come si tratti di un’attività che - superato il primo “innamoramento” giovanile destinato molto spesso ad essere sostituito da stimoli post- adolescenziali ben più accattivanti - è in grado di insegnare molto; sempre però che chi lo pratica abbia la sensibilità e la predisposizione per coglierne i tanti messaggi educativi che offre. Cos’ha da insegnare, dunque, far volare i nostri modelli? Per prima cosa l’umiltà. Se qualcuno pensa di acquistare l’attrezzatura e di diventare immediatamente un novello Barone Rosso del radiocomando, sbaglia. Certo ci sono persone - soprattutto ragazzi - che pare che ce l’abbiano nel sangue, ma in generale ognuno deve prima passare attraverso  il rammarico di inevitabili cadute (o crash come li chiamiamo noi), rotture finanche gravi del modello e lo sconforto che ne deriva. Tutto normale. Essere umili vuol dunque dire accettare di imparare spesso da zero; darsi il tempo di farlo, sia esso lungo o corto; appoggiarsi ai piloti esperti di un campo volo, e seguire i loro consigli, ma anche comprendere con animo aperto i loro rimproveri qualora fossero necessari.

Da questo derivano altri due aspetti: la socialità  e la resilienza. Vediamo il primo. È ormai certo che il modo migliore per imparare a pilotare un aeromodello è quello di frequentare un campo volo dedicato e “ufficiale”. Così facendo si può essere seguiti da “maestri” esperti, ma anche evitare di fare primi acquisti magari inadatti, inutili e costosi; di conseguenza in media si impara meglio e più in fretta, riducendo (ma non evitando del tutto) i crash. È chiaro tuttavia che l’allievo è bene che dimostri rispetto per chi lo segue, per gli altri soci e per le regole del campo, ma anche che debba avere quella giusta dose di socievolezza che lo rende “piacevole” e che proprio grazie a questa vedrà aprirsi le porte della simpatia e dell’amicizia degli altri piloti. E di questo ne trarrà lui stesso un grande vantaggio immateriale. Ho invece citato la resilienza, ovvero la capacità di reagire positivamente a episodi negativi o traumatici, perché sarà proprio questa ad evitare di far mollare tutto dopo le prime cadute e spingere invece a comprendere errori, limiti e finanche ad accettare quella sfortuna che a volte ci mette lo zampino. Ripeto: ognuno di noi ha piloti subito decine di incidenti col modello. Ma abbiamo proseguito, tra colla e sudore, lacrime e coraggio, fino a volare ancora dopo 10, 30 anni o una vita intera.

Un ultimo - non meno importate aspetto - riguarda la crescita personale. Ogni volo è una sfida, ed anche il pilota più esperto conserva dentro di sé fosse anche solo un grammo di dubbio o paura che qualcosa possa andare storto. Certo, nel neofita parliamo di tonnellate di paura, non di grammi. Ma il concetto è lo stesso. L’importante è guardare in faccia ai nostri timori, comprenderli, accettarli e muovere le gambe (anche se tremano di paura) per raggiungere il centro della pista e decollare ancora. Anche se hai ancora le mani imbrattate di colla per le riparazioni e il portafoglio alleggerito per le spese. Prendi, decolla e vai. Solo così arriverai al punto di smantellare quel macigno di terrore (soprattutto post-crash) e trasformarlo in una leggera tensione che ti fa essere attento, vigile, pronto a intervenire sempre e comunque. Accettare la sfida, affrontarla col cuore aperto e la mente lucida, comprendendo (se possibile) il perché degli errori fatti: ecco ciò che si può trarre da 5-10 minuti di volo. E se non è crescita personale questa...

venerdì 2 giugno 2023

Ciao Presidente...

Il 4 giugno 2022 ci lasciava il nostro presidente Elio Corongiu. Ad un anno dalla scomparsa, mi piace ricordarlo così


Ciao Presidente,

sì, ti chiamo ancora presidente, perché continui ad esserlo. E lo faccio da presidente onorario, ma al contrario. Cioè non per meriti che oltrepassano l’anzianità di servizio, ma perché ritengo “un onore” esserlo, nonostante tutto: le difficoltà, i legacci d’una vita cambiata che tante volte mi fanno provare malinconia per la frequenza con cui, prima, riuscivo a venire “a casa tua”, al campo.

Ricordo i giorni della tua scomparsa, e soprattutto quel pomeriggio in cui ci siamo ritrovati al campo. Non per volare, ma per incontrarci, stringerci assieme per superare lo choc della tua perdita; una sorta di rosario laico dove al posto delle preghiere c’erano i ricordi, la voglia di ritrovarti ancora “a casa tua”, appunto.

Ho sempre pensato che tu sia ancora lì, a fumare, a imbronciarti per le cose che ancora non vanno, per insegnarci ancora qualcosa. E tante volte, prima di un volo, chiedo il tuo aiuto, la tua benedizione, il tuo appoggio perché in qualche modo tu possa accompagnare la mia bestiola volante che piano piano si avvicina a te salendo nel cielo. Sei ancora lì dove ti abbiamo lasciato, incurante ora del caldo o del gelo, e delle idiozie che vorrebbero tarparci le ali. No, tu sei più grande. Ti spieghi le ali senza curarti di carburazione o settaggi, regole o altitudine, e se un tempo dicevi sempre che “i modelli hanno sempre ragione loro”, ora ce l’hai tu. Ora sei tu a guidarli nell’unico spazio ormai  libero: quello del cuore e del sogno.

Casa tua è ancora viva. Perché è una casa da riempire ancora di emozioni. E in qualche modo, il tuo messaggio viene portato avanti. Così, so bene che quando nessuno ti può vedere, la sagoma della tua auto azzurra percorre ancora quel lembo di terra secca che unisce il mondo reale al nostro. Senza fretta tiri fuori modelli stupendi, mai visti, e li fai volare contro ogni legge della fisica e dei limiti umani. Lo sanno gli uccelli del cielo, che se la ridono del nostra maldestra volontà di imitarli. Lo sanno queste zolle d’erba che trasudano di ruotini che le hanno solcate, di imprecazioni per un crash, di tanti obiettivi da raggiungere, ma soprattutto di passione e di amore: quello per il volo. Lo sa il buon Dio, che probabilmente si rammarica bonariamente perché tu hai ancora del lavoro da fare qui. E alle rotte stupende del cielo, preferisci ancora l’aria calda e imprevedibile di questa macchia di bosco, tra il nulla e il sogno.

E lo sanno infine le stelle che ti stanno a guardare, mentre il tuo motore ruggisce, le ali corrono, e l’erba si piega sotto le tue meraviglie volanti che, in un magico non-tempo, sorvolano ancora i nostri sogni e le nostre lacrime.

Ciao, allora, Presidente. O forse solo arrivederci.

lunedì 3 aprile 2023

Non è mai troppo tardi

Ho sempre provato ammirazione per chi, ormai non più giovane, decide di imparare cose nuove: frequentare un corso di inglese, di cucina, di astronomia o altro. Perché è un segno di vita, di rinnovamento. È un non cedere alla facile (e sciocca) obiezione: “Ma cosa ti serve ormai?”.  Serve. Eccome! Serve per sentirsi vivi, per non cedere alle lusinghe del tempo e dell’ozio, serve per dire a se stessi che c’è ancora voglia di scoprire e di sentirsi fertili a nuove proposte.

Qualcuno ricorderà la famosa trasmissione del maestro Alberto Manzi (nella foto) proposta dalla Rai nel 1960: Corso di istruzione popolare per adulti analfabeti. Qui, attraverso la televisione, si cercava di fare un’operazione di questo genere su larga scala: alfabetizzare gli italiani che non avevano potuto studiare attraverso uno strumento popolare qual’era (ed è) la TV. Si chiamava appunto Non è mai troppo tardi. Quasi un motto che vale sempre.

Sì, non è mai troppo tardi neanche per Giovanni (nome di fantasia, ndr) che ieri è venuto per la prima volta al campo perché, come mi ha detto, “ho costruito tanti modelli ma ho una gran voglia di farli volare”. E così, da “scolaretto” avanti con gli anni, lo vedo col suo modello che sembra uscito da un cartoon: bellino, piccolino, adatto secondo me ad un principiante. Un modello quasi goffo rispetto ai tanti bellissimi che rullano sulla nostra pista ma, si sa, per i principianti esistono modelli che badano più alle performance adattive che all’estetica.

Ed eccolo Giovanni, seguire il lavoro di un collega che cerca di mettere a punto il suo modello; osservare quasi con reverenza il lavoro quasi da chirurgo che viene fatto nel “cervello” del modello affinché diventi gentile con le mani del pilota.

Lo osservo con tenerezza e ammirazione. Ci siamo passati tutti da questa fase. Magari con qualche decina d’anni in meno. Ma anche no. Io ho ad esempio iniziato a 50 anni. Giovanni probabilmente ne ha almeno dieci di più. Ed è meraviglioso...

Non so se Giovanni riuscirà nel suo sogno. Ma spero proprio di sì. Ci vorrà pazienza, tenacia, coraggio. Ma chi ha un sogno in genere queste qualità le ha.
  E sarà un piacere, domani, veleggiare insieme.

Bravo Giovanni. Sei la testimonianza che davvero
non è mai troppo tardi. E che l’aeromodellismo può essere una delle tante sfide da affrontare fino a quando si proverà un brivido a vedere il cielo e a pensare di solcarlo con le proprie mani.

venerdì 16 dicembre 2022

Ci vediamo al campo!

Ho sempre “invidiato”, diciamo così anche se è un po’ esagerato, chi entra nel bar e chiede: “il solito, grazie...”. Perché è sinonimo di familiarità; è segno evidente che quella persona frequenta da tempo il locale, che conosce la/il barista, che prende sempre la stessa cosa (es. caffè americano in tazza grande...)  e che tra di loro si è instaurato un rapporto se non proprio di amicizia, almeno di conoscenza.  Tant’è che quando andavo a Sesto San Giovanni (MI) a lavorare e tutte le mattine mi fermavo per un caffè in un minuscolo simil-Autogrill lungo la strada, un giorno feci la stessa battuta con la solita ragazza del bancone: “Mi dai il solito, grazie...” ridendo del fatto che lei capisse o meno ciò che intendevo chiedere. E lo capì, con mia grande soddisfazione.
Allo stesso modo trovo piacevolissimo che tra aeromodellisti che frequentano lo stesso campo volo, sia sufficiente dire ci vediamo al campo per intendere chiaramente di cosa si stia parlando. Non c’è bisogno di altro.  E nessuno intenderà mai un campo diverso dal “tuo”, quello che frequenti e vivi.
Bello, perché sa di casa, di famiglia, di branco, di calore. E conferma ciò che ho imparato e ripeto da sempre: ciò che fa campo è quello spirito di unione, di amicizia, di spirito ludico che a mio parere dovrebbe fare da collante ma anche da senso proprio di un’attività perlopiù svolta nel nulla silvestre della campagna.
Ci vediamo al campo è allora un invito, è una condivisione, è un rafforzamento del branco perché chi parla lo fa usando un “codice condiviso”, ed è condiviso perché è vissuto da entrambi. È la parola d’ordine che identifica gli interlocutori come membri di un clan, dove per fortuna è facile entrare. Forse più difficile rimanerci con quello spirito puro che sarebbe l’ideale avere.

Allora, ragazzi, ci vediamo al campo... e speriamo nel tempo!